“… un attimo di bellezza
è una gioia per sempre”
(John Keats)

Che Mimmo Sarchiapone sia uno dei più sapienti incisori del nostro tempo non siamo noi i primi a scoprirlo.
Basta del resto, soffermarsi davanti alle sue acqueforti, per capire come all’infinita varietà degli oggetti e dei luoghi immancabilmente corrisponde una sorprendente unita interpretativa e stilistica dei risultati, nella quale anche il profano riesce subito a cogliere una emozione tanto difficile da spiegare quanto tutta da godere senza riserve.
Chi scrive ha avuto più volte la ingenuità di chiedere a Sarchiapone quali sono i segreti iconici di un processo molto più complicato dei frutti artistici che esso produce. Egli, da gentiluomo qual e, si e prodigato a spiegare i diversi passaggi, dai documenti di partenza dove gli oggetti e gli scorci del mondo si erano fissati senza mai alterarsi, sino al punto in cui l’apparente fissità delle cose comincia finalmente a muoversi. E una affermazione di grande acutezza, anche filosofica, quella che gli fa dire come le cose cambiano e invecchiano nel tempo, ma che nel loro fondo esse non cambiano mai perchè l’ultimo nocciolo che le sostiene e alimenta resiste anche alle ingiurie del tempo. Ecco perchè la realtà di una fotografia e anche di una vecchia cartolina che ha fissato un momento del tempo, e soltanto il punto di partenza di una emozione che diventa ricerca di ciò che nelle cose non cede alle devastazione del tempo.

Se, poi, a Sarchiapone si chiede come avviene lo straordinario passaggio delle cose certe (fotografia o disegno) a certi risultati imprevedibili nelle sue acqueforti, nelle acquetinte e nelle stupende stampe realizzate a colori, egli e sempre prodigo di spiegazioni tecniche che spaziano, appunto, dai documenti di partenza alla sorpresa dell’emozione creativa, dal trasferimento del disegno sulla lastra, alla elaborazione di questa fino alle “morsure” finali che al disegno consentono l’imprevedibilità delle cose nuove; ma subito dopo egli quasi si sottrae, ben consapevole che fotografia e disegno sono soltanto il punto di partenza di una scoperta nella quale svolge una funzione fondamentale l’occhio interiore dell’artista.
Se ci mettiamo davanti alle opere di Sarchiapone con la mente pronta a cogliere i segni del nuovo, riusciamo
a vedere contemporaneamente il punto di partenza e il punto di arrivo. Al punto di partenza c’erano le cose “vecchie”, la infinita varietà oggettiva del mondo, mentre al punto di arrivo esse sono uscite dall’immobilità tecnica dei segni passati e sono state rinnovate e riscoperte attraverso la metamorfosi impalpabile dell’arte. E cosi che la bellezza e la solitudine dei luoghi resuscitati dalla memoria, l’eternità millenaria di un bosco di ulivi, la morfologia di una città come Bologna, la casta bellezza dei luoghi di un tempo, all’improvviso ritornano a muoversi; e cosi che le vecchie case, un angolo appena riconoscibile del mondo, una fioritura, un giardino, oppure un vecchio muro corroso dal tempo, una volta sottoposti al minuto e ostinato lavoro di punta o all’infinita pazienza delle “morsure”, si distaccano dal reale frammentario per diventare una emozione e un segno di vita.
Allora va bene la tecnica paziente e raffinata; va bene la squisita manualità dell’inciso; vanno bene le risorse di un raffinato mestiere; va bene la limpidezza del disegno grafico: vanno bene le stupefacenti “morsure”; va bene il gioco sapiente dei vuoti e dei pieni, dell’ombra e della luce, ma in Sarchiapone tutto questo e soltanto il mezzo e la strada per arrivare alle emozioni creative dell’arte. Davanti al suo “miracolo” tecnico non c’e nulla da dire, ma in definitiva quello che finisce per contare di più e l’emozione di fronte al risorgente mistero delle immagini. Anche la tecnica più sapiente non produrrebbe quella gioia del vedere, perchè la tecnica da sola si arresterebbe sulla soglia esteriore ed oggettiva delle cose. Infatti, mentre la tecnica, anche la più raffinata, e sempre uno strumento che rimane fine a se stesso, e l’arte che invece ci aiuta a scoprire la continuità misteriosa del tempo e la continuità gioiosa o dolorosa dell’esperienza.
Frutto di una razionalità di partenza, e soltanto l’arte che crea una sfera diversa nella quale lo scavo paziente in una lastra di zinco, si trasforma in uno scavo nel mistero del tempo o nella ineffabilità nascosta al di la delle superfici oggettive delle cose. In quel momento qualunque essa sia, e l’arte che riscopre la bellezza e in quel momento “maieutico” il travaglio dell’artista diventa la gioia e la sorpresa di una rivelazione.
Un grande poeta inglese, a me caro, ha scritto che “un attimo di bellezza e una gioia per sempre”, perchè essa ci porta di colpo nel cuore delle cose, partendo da quanto esse sembrano a quanto esse sono nel misterioso equilibrio della memoria e dell’arte, illuminando non tanto il mondo in cui esse muoiano quanto piuttosto, al modo con cui esse rinascono e tornano a vivere.

(Dal Catalogo Mostra “Galleria Castiglione Arte”, Bologna 1999)