È tardi nettamente.
La vita, con il suo perno smarrito, galleggia incerta
per le strade e pensa
a tutto l’amore promesso.
Cosa attende da me? Dove batte
il cuore dei perduti? È questa
la meta misteriosa
di ciò che vive?
La casa si allontana
dai soggiorni, tutto
è consegnato all’evidenza
della fine, tutto è sfuggito…
…ma la sillaba
che stringeva la gola
è questa.

Milo De Angelis

 

 

Arduo emettere la sentenza dello sguardo tradotta in quelle giuste parole che sole avrebbero l’autorità di comunicare l’arte di Mimmo Sarchiapone, la sua irripetibile vocazione ad unire nella presenza dell’imago archetipo e dispersione dell’evento, la vita che in queste acqueforti si ricongiunge con il suo inizio, con l’origine impronunciabile, con quella “sillaba che stringeva la gola” ed è tutto il nostro passare. Difficile pronunciarsi, quando a farlo in precedenza sono stati nomi tutelari della nostra cultura come Giuseppe Rosato, Renato Minore o Franco Solmi, coloro i quali chi scrive sente più vicini ad un’ideale proprio di significazione: questi scrittori hanno inquadrato in modo così profondo e cristallino l’arte di Sarchiapone che aggiungere ulteriori ragionamenti sarebbe una retorica poco facile da perdonare. Dunque si proverà a trasmettere le personalissime impressioni di chi nelle opere raccolte dal presente catalogo ha avuto l’ardire di perdersi, esacerbare una certa attitudine alla commozione, ritrovare i fragili pegni che la felicità nel tempo ha mancato di riscattare. Bisogna incedere poeticamente nel cammino della chiarificazione, perché è solo così che l’incisione s’inoltra nel fitto del colore, solo così emerge – grazie ad un sapiente dosaggio di esposizione delle lastre agli acidi – l’aria spirituale della forma, restituita a quella che nella matrice-foto andò perduta. Quella di Mimmo Sarchiapone è una ricerca che attiene sempre a se stessa, a quell’ossessione di recuperare “la sillaba che stringeva la gola”, ricalibrare sull’asse del presente il meccanismo storto del passato, il “perno smarrito” di un dettaglio (fondamentale) che il tempo nasconde infra l’occulto dei giardini, fra le vedute lontane guizzanti dai cancelli, il tutto immerso in una ondivaga indecisione onirica. Che il soggetto sia umano o naturalistico, non importa, sempre vivida si sussegue una scansione memoriale di ciò che la realtà ha consegnato all’evidenza; è per questo che le splendide foto d’epoca raccolte da Pasquale De Antonis, in cui la città di Pescara palpita di dannunziani ardori, grazie alla mano di Sarchiapone si riallacciano alla mimesi primaria e platonica dell’idea di città futuribile alla quale Pescara si uniforma da sempre. Che dire, invece, delle “Figurine abruzzesi”, realizzate per illustrare “Terra vergine” di Gabriele d’Annunzio? Volendo completare ciò che nel 1881 fu mancato da Michetti nei confronti delle novelle del giovane amico, Sarchiapone conferma la sua tensione ad immergersi nel buio del passato per rischiararne le profondità, attraverso il gesto di scalfire sulla materia quel che rischia costantemente il pericolo di finire. Autentica operazione culturale che non solo rende omaggio al poeta nel 150° anniversario della sua nascita, ma inaugura il ritorno dell’artista alla sorgente di un’intima ispirazione. Tra nostalgia e tenerezza, a passo lento, invitiamo così noi stessi a godere del cammino che Mimmo Sarchiapone ha scavato nella dimora dei giorni, in trent’anni di ostinato viaggiare verso “la méta misteriosa di ciò che vive”.

di Federica D’Amato