Pescara e bella con la sua provincia,recita lo slogan di una istituzione, ede vero, o può essere vero: il  fatto certo  è intanto che Pescara era bella anche (e Si noti che si rinuncia a dire “di più”) quando la sua provincia, e quindi il suo status di capoluogo di provincia, erano ancora e molto di la da venire. Della bellezza di quella Pescara,(perchè no?) orrida, giacche come selvaggia,restano le stimmate segnate sulle pagine dannunziane delle Novelle; 1’altra bellezza, fatta di rigori costruttivi e di spazi urbani praticabili, ossia come si usa dire a misura d’uomo, e di cittadini, ce la ricorda in alcune paginette 1’altro pescarese Ennio Flaiano. Era la Pescara dei cinque o diecimila abitanti, la Peascara però correttamente definita nella sua struttura conclusa, tra l’arco di Porta Nuova  e la piazza Garibaldi, il corso Manthonè e la via dei Bastioni, il forno di Flaiano e la vecchia stazione ferroviaria. Una realtà che sembra affidarsi più al sogno che alla memoria,questa si capisce ereditata di generazione in generazione da chi abbia avuto ed abbia sentimento per certi valori. A dirci qualcosa, o forse molto, di quella Pescara sono le fotografie impresse su cartoline vecchie e nuove, reperti rimessi in piedi adopera di amatori dell’arte fotografica, oltre che della storia di Pescara, in primis il “grande Pasquale De Antonis. La fotografia è, certo,documento ineccepibile: in essa la realtà si fissa senza alterazioni,predisponendosi a resistere immutabile nel tempo. É, o puo essere, il punto di partenza dal quale riavviare il percorso della memoria,eventualmente implicando la partecipazione emotiva ad un recupero, su di un impatto dunque visivo definito e credibile, eppure tuttavia che sembra li circoscriversi. Perché si vada oltre è necessario che alla impersonalità della fotografia si aggiunga qualcosa, per esempio la diversa “mobilita” del segno, a fiorerdella dinamicità, o meglio si dirà della vitalità,della mano che decida di servirsene. In tal caso 1’immagine esce (per così dire) dall’archivio e si avvia a intraprendere un cammino diverso ,passante per la riappropriazione del soggetto inerte operata da una volontà progettuale appassionata, che del soggetto medesimo faccia 1’oggetto di un fermo innamoramento .Ecco allora che 1’immagine si rivitalizza ed è pronta a riappartenere d un “nuovo” tempo ,a lasciarsi fruire su presupposti che si siano rifatti captanti, legandosi all’affabilità del  linguaggio dell’arte. Da questa lunga premessa si fa agevole entrare nel cuore dell’operazione che da anni viene conducendo Mimmo Sarchiapone ,incisore di singolari qualità, interprete al tempo stesso straordinario dell’amoroso recupero dell’iconografia di luoghi che avevano connotato un paese, osi dirà meglio che ne avevano fatto gran parte della storia: ed è superfluo andare oltre nell’esplicitare i motivi che verso quella memoria hanno riconvogliato 1’artista. Se questi nel culto di essa ha vissuto gli anni della maturità, a ridosso di un’infanzia, e di un atradizione fatta di naturale cultura, che di quel paesaggio si erano nutrite. Averle ritrovate, tali immagini, sulle carte fotografiche dev’essere stato il fattore trainante di una passione da porre a pretesto della lunga dedizione al lavoro di bulino, paziente e intrigante, duttile ed esaustivo, dal quale escono queste incisioni dense, si direbbero sorrette da spessori che travalicano il fatto d’arte. Tecnicamente esemplari, acqueforti e acquetinte godono qui di tutti i pregi che il possesso assoluto del difficile, raffinato mestiere consente: ma non bisogna mai stancarsi di cercare al di la del segno 1’impronta e il riverbero del gesto d’amore. Pescarese, rimasto a lungo lontano dalla sua città, Sarchiapone sembra che trovi nel paesaggio urbano, nei luoghi in cui esso si configura e nella genre che vi e dentro, la materia piu acconcia per nutrime un eser-cizio d’arte che ha nell’incisione lo sbocco più frequente,e si direbbe naturale, ma che egregiamente riesce a saggiarsi anche in differenti tecniche.

E’ accaduto per la bella recente suite dedicata ad Ortona, mirante a far rivivere graficamente e pittoricamente cinquant’anni di storia della città, dalla distruzione alla rinascita; di Bologna invece, che è stata per molti anni sua patria adottiva, egli aveva restituito 1’atmosfera più vera e segreta in lastre incise con consumata sapienza. L’operazione Pescarasi avvale della tecnica a Sarchiapone più congeniale, appunto 1’incisione che trova nella limpidezza della grafia la sua essenzialità di base, per esaltarsi poi nella ricchezza chiaroscurale delle morsure: ciò vale pe run verso ad accentuare – come attraverso il filtro del sogno – la distanza che separa dalle vecchie immagini, mentre pero ne evidenzia e rafforza la persistente presenza, in tutta la sua sfaccettata pregnanza di spessori. L’omaggio ai settant’anni di Pescara provincia si compie così sul filo di una memoria che diventa  vivificante racconto , nostalgia non sterile, anzi “luogo”da cui riprendere l’abbrivo.