Roland Barthes ha scritto, a proposito della fotografia, che essa e un linguaggio falso e vero insieme.“E falso, in senso letterale, perchè essendo la riproduzione analogica della realtà, l’immagine fotografica non comporta nessuna particella discontinua che si possa chiamare segno: letteralmente, in una foto, non c’e nessun equivalente della parola o della lettera. Ma e vero nella misura in cui la composizione,Io stile di una foto funzionano come un messaggio che informa sulla realtà e sul fotografo: e quello che si chiama connotazione, che e linguaggio; ora le fotografie connotano sempre qualcosa di diverso da quello che mostrano sul piano della denotazione:paradossalmente e attraverso Io stile, e solo attraverso lo stile, la fotografia e linguaggio”. A maggior ragione, quanto Barthes sostiene per la fotografia, va detto per le incisioni ad acquaforte. La realta, anche se assunta oggettivamente, viene filtrata attraverso la peculiare sensibilità dell’artista;questi riproduce il reale ma insieme lo trasfigura. Che ci dicono allora queste incisioni di Mimmo Sarchiapone su Pescara nell’epoca dannunziana? In primo luogo ci restituiscono una realtà storica e sociale in una immobilità che e cifra per individuare il fondale dell’infanzia e dell’adolescenza del poeta. In secondo luogo, la stessa semplicità della visione prospettica che appare quasi come la finta d’uno scenario teatrale, spiega la possibilità di un ulteriore processo a ritroso che attinge, non più soltanto la nudità e la rarefazione come povertà, ma tocca quella zona arcaica che d’Annunzio ha attinto ed espresso in Terra Vergine e in San Pantaleone. E’ stato detto talora, da una critica se non malevola alquanto sbrigativa, che gli elementi etnici e da a in d’Annunzio sono funzionali ad un estetismo di chiara matrice decadente. In realtà lo scrittore, per sfuggire al tradizionale condizionamento della provincia italiana (non si dimentichi che l’Abruzzo pagava ancora il peso della lunga e retriva dominazione Borbonica),ma ben al di la della stenta quotidianità, legge dietro cose e persone, un mondo insieme primitivo e favoloso. Mimmo Sarchiapone ha mostrato felice intuito quando ha rarefatto le presenze umane, sia raffigurando Piazza Garibaldi o Corso Manthone, sia Via dei Bastioni tra il 1870 e il 1880, dilatandola zona di silenzio e consentendo a colui che guarda di evocare i momenti dell’esistenza del poeta o le vicende narrate nelle sue opere. Nelle Storie Ferraresi Giorgio Bassani muove da una sbiadita fotografia per ricuperare la complessa avventura umana di una famiglia ebraica dall’inizio del secolo fino all’olocausto; queste incisioni, meglio e più delle fotografie chiamate a colmare i vuoti della biografia del d’Annunzio, servono ad entrare, alla maniera di Proust, nel “tempo ritrovato”. Più e meglio della “Petite Madeleine” dell’autore della Recherche esse ci riconsegnano una stagione della nostra storia e ci aiutano a capire come, anche nel consegnarsi al potere della sua straordinaria fantasia,d’Annunzio muova sempre dalla realtà e ne fermi i segni che la fanno inconfondibile. Ci si rende conto che anche quando sembra descrivere, come ne “La morte del cervo”, la natura della Toscana, in realta egli sente raffiorare in se le immagini aspre e primigenie dell’Abruzzo natale al quale si sente carnalmente legato e al quale doveva spesso tornare con dolente nostalgia.                          

(Catalogo Mostra “50° Anniversario della morte di d’Annunzio”, Il Vittoriale degli Italiani, Gardone Riviera 1988/1989)